Chiesa delle Anime Sante (AQ). Nel 2003-2004 il tamburo della cupola venne consolidato utilizzando unicamente una tecnica “tradizionale” (iniezioni).
PREMESSA
Nel 2006 una Commissione interministeriale MiBACT - Protezione Civile, composta da persone (tra cui anche l’autore della presente nota) che rappresentavano diverse competenze in tema di conservazione e sicurezza, mise a punto, dopo un approfondito lavoro di confronto e di sintesi, le “Linee Guida per l’applicazione della normativa tecnica in materia di sicurezza sismica al patrimonio culturale”.
Tale documento, punto di incontro nel complesso equilibrio tra le varie esigenze, fu emanato nel 2007 mediante Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri, e successivamente, nel 2011, venne aggiornato per allinearlo alla nuova normativa tecnica, con la Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri (in seguito indicata, per semplicità, come “Direttiva”) emanata in data 9.2.2011 (“Direttiva per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale con riferimento alle norme tecniche per le costruzioni di cui al DM 14/1/2008”, pubblicata sulla G.U. n. 47 del 26.2.2011 - suppl. ord. n. 54).
Lo scorso 25 marzo 2016, la Direzione Generale Belle Arti e Paesaggio del MiBACT ha ritenuto di dover inviare a tutte le Soprintendenze una circolare, la n. 18, prot. DGBAeP/8538, presentandola come “Guida breve” della Direttiva di cui sopra, e molte di queste Soprintendenze, a quanto risulta, la stanno applicando in modo puntuale e rigoroso.
In realtà, come si vedrà in seguito, tale circolare riprende solo parzialmente i concetti contenuti nella Direttiva, mentre in molte parti se ne discosta radicalmente, mescolando affermazioni condivisibili con altre che appaiono in contrasto con quanto è riportato nella Direttiva.
E’ evidente che la circolare emanata non ha la stessa valenza giuridica della Direttiva (che peraltro dovrebbe essere ben conosciuta dalle Soprintendenze) ma nella pratica operativa si presta a strumentalizzazioni e storture dagli effetti fortemente negativi. Per tale motivo, ove si considerasse utile il suo mantenimento, si ritiene opportuna una sua sostanziale revisione.
Nel seguito vengono evidenziati, per brevità, solo alcuni dei punti di maggiore problematicità e/o in contrasto con la Direttiva.
COMMENTI A SINGOLI PUNTI DELLA CIRCOLARE 18
Nell’oggetto, la circolare si presenta come “Guida breve” all’uso della Direttiva citata ed afferma di rivolgersi “ai progettisti e alle Soprintendenze per tornare a puntualizzare i principi base del restauro architettonico, con specifico riferimento alle opere di miglioramento delle prestazioni antisismiche”.
Evidentemente non si ritiene sufficiente quanto già scritto nella Direttiva e nelle altre norme tecniche, e già questo desta qualche perplessità, perché il panorama normativo in Italia appare oggi più da sfoltire che da ampliare con ulteriori riferimenti.
Se ci sono degli argomenti della Direttiva da “puntualizzare” (e questo è possibile, dato che tutto, in generale, è migliorabile) ben vengano proposte di modifica o integrazioni. La via seguita con questa (forse un po’ frettolosa) emanazione di una circolare non appare però adeguata, né giuridicamente, né culturalmente, priva com’è di una base di confronto e condivisione con il mondo scientifico ed istituzionale.
Nella premessa, la circolare riconosce che la Direttiva è “il risultato dei grandi progressi che nello scorso quarto di secolo la ricerca, svolta principalmente in Italia, ha conseguito nella comprensione del comportamento sismico degli edifici storici e nei metodi di analisi”, e cita il “grande portato innovativo costituito dalla verifica dei meccanismi locali”.
Se si parla dei progressi della ricerca, insieme all’analisi dei cinematismi (che è una importante riscoperta di metodi usati già nel passato) andrebbe citata anche l’innovazione in tema di analisi strutturale con le varie tecniche di modellazione numerica introdotte negli ultimi anni per le costruzioni in muratura, che costituiscono oggi strumenti utili per una comprensione critica del comportamento di questi manufatti.
La circolare ricorda poi come negli ultimi decenni sia nata “una consapevole attenzione verso le tecniche costruttive tradizionali…”, e su questo certamente siamo tutti d’accordo. Desta invece qualche perplessità il seguito della frase: “… di cui si riconosce non solo il valore intrinseco come testimonianza storica di un modo di costruire, ma anche l’efficacia antisismica, un tempo disconosciuta”.
Emerge qui uno dei problemi principali della circolare, ovvero la genericità nell’affermare concetti che invece dovrebbero essere considerati e verificati singolarmente, caso per caso.
I lutti, i disastri e le enormi perdite, anche di Beni Culturali, nei terremoti passati (vedi i recenti sismi in Abruzzo e in Emilia) dicono chiaramente che se è vero che molte costruzioni storiche hanno resistito bene, è altrettanto vero che per molte costruzioni le tecniche costruttive tradizionali sono risultate del tutto inadeguate a sopportare le sollecitazioni in gioco, in particolare nelle zone in cui azioni di questo tipo e di questa entità non si presentavano da molto tempo.
Sempre tra le premesse, la circolare ricorda le problematiche del rapporto tra sicurezza e conservazione – vero problema di fondo ed oggetto del contendere - rilevando come spesso questi obiettivi siano visti in contrasto tra loro “a causa delle visioni divergenti indotte nei vari progettisti dalla diversa formazione culturale e dalle diverse responsabilità in gioco”.
Ciò è vero, ma ancor prima dei progettisti bisognerebbe ricordare che visioni diverse risiedono negli stessi Organi istituzionali competenti su questi due aspetti, ovvero il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti da una parte e il MiBACT dall’altra, che spesso funzionano a compartimenti stagno (e questo sembra essere uno di quei casi) emanando norme e circolari in contrasto tra loro e, talvolta, scoordinate anche con la realtà delle cose (e forse potremmo ripetere anche qui che questo è uno di quei casi).
Ancora, tra le premesse, la circolare afferma: “Alle volte, la sicurezza diventa motivazione, ritenuta inattaccabile, per sostenere soluzioni progettuali improprie” e si citano a questo riguardo “la sostituzione integrale di coperture e solai storici”, “la rimozione degli intonaci per impacchettare le murature entro reti di rinforzo” e “la realizzazione di cappe di sostegno delle volte anche laddove non ve ne sia necessità alcuna”.
La frase, molto generica, mescola in un unico calderone soluzioni progettuali che tutti ritengono improprie con altre che, in certi casi, potrebbero invece essere idonee ed opportune, ed altre ancora di cui a priori si ipotizza che “non ve ne sia necessità alcuna”.
Se e quando una Soprintendenza si trova di fronte a casi di interventi “impropri”, che possono essere sostituiti con altri di analoga efficacia, o che, secondo le verifiche strutturali fatte dalla Soprintendenza (?) non sono necessarie, che problema c’è ad esprimere un parere negativo? Non basta quanto scritto nella Direttiva?
Perché considerare dei singoli casi, che possono essere trattati per quello che sono, ovvero singoli casi specifici, come motivazione valida per emanare una circolare che interviene in quel delicato equilibrio, raggiunto dalla Direttiva, tra esigenze della sicurezza e necessità della conservazione?
Sarebbe preferibile un maggiore equilibrio e una maggiore distinzione tra i diversi casi, anche perché se si segue questa visione di parte, la frase in questione può essere girata, mutatis mutandis, in: “Alle volte, la conservazione diventa motivazione, ritenuta inattaccabile, per NON fare interventi che invece sarebbero indispensabili ...”.
Molte volte, infatti, la sola motivazione addotta per NON fare interventi è che quella costruzione è lì da centinaia di anni, dimenticando che questa circostanza non rappresenta mai, di per se stessa, una condizione sufficiente per la sicurezza (vedi sismi recenti…).
Peraltro, se e quando ci sono problemi di sicurezza per una costruzione, le motivazioni che adduce il progettista sono effettivamente e realmente “inattaccabili”, nell’interesse della conservazione della costruzione stessa (“primum vivere”) e, elemento certo non secondario, dei suoi utilizzatori.
Occorre forse ricordare che ad assumersi tutte le responsabilità per quanto può accadere è sempre e solamente il progettista in questione? Oppure ne rispondono in solido anche le Soprintendenze che hanno negato la possibilità di fare quegli interventi che (come riscontrabile - ex post - in casi come quello dell’Aquila o dell’Emilia) sarebbero stati invece assolutamente necessari?
Al punto 1 - ”Principi e criteri di restauro …”, la circolare ricorda che “il buon progetto di restauro si forma attraverso la convergenza di specialità disciplinari che devono comprendere ….” e segue un elenco molto articolato, nel quale, però, incomprensibilmente, gli aspetti strutturali si riducono al “rilievo… attento … alla struttura”, dimenticando del tutto il contributo dell’analisi strutturale. Ma non è, anche questo aspetto, parte rilevante del percorso di conoscenza e del progetto di restauro? Perché ignorarlo?
Più avanti, si ricorda che “gli interventi sulle strutture … sono da valutarsi nel quadro generale di conservazione della costruzione...” e questo concetto – ove non fosse già sufficientemente espresso – viene ribadito nella frase successiva: “l’obiettivo principale resta sempre la conservazione non solo della materia ma anche del funzionamento strutturale accertato, qualora questo non presenti carenze tali da comportare rischi di perdita del bene”, il che, come si è visto, purtroppo avviene spesso….
Le successive operazioni che la circolare elenca, relativamente a quanto sia necessario fare per il progetto definitivo e per quello esecutivo, continuano ad ignorare i contributi (al progetto) portati dall’analisi strutturale.
La verifica di sicurezza entra in scena al punto 3 –“Requisiti di sicurezza e modelli per la valutazione del rischio sismico e del miglioramento conseguito”.
La prima frase di questo punto sembra insinuare dei dubbi sulle capacità di discernimento di un’intera categoria professionale, quella degli ingegneri, nonché sul lavoro dei ricercatori che negli ultimi venti anni hanno elaborato modelli di analisi del comportamento delle costruzioni in muratura:
“Il calcolo strutturale fondato sulla meccanica razionale, che utilizza modelli teorici formulati analiticamente, rappresenta un utile strumento per valutare la sicurezza del manufatto storico solo a condizione che il modello meccanico derivi da una corretta analisi della struttura reale e del suo comportamento meccanico e siano ben presenti al progettista i limiti di attendibilità dei risultati” (la parte in grassetto è così nel testo della circolare; evidentemente si vuole “alzare la voce” perché i progettisti intendano meglio).
Una frase successiva ribadisce tale opinione: “il progettista” – è bene ricordarglielo ancora una volta (!) – non deve “confondere l’automaticità del calcolo, per quanto sofisticato possa essere, con l’affidabilità del risultato”.
Premesso che la meccanica razionale c’entra ben poco, colpisce la critica, tutt’altro che velata, all’intera categoria degli ingegneri, verso i quali evidentemente non si ripone grande fiducia, pensando che generalmente non siano in grado di effettuare una “corretta” analisi della struttura reale, e ritenendoli, sempre in generale, incapaci di una disconnessione celebrale dal computer e dal software che utilizzano per il loro lavoro.
Forse è opportuno ricordare che, di norma, gli ingegneri sono a conoscenza dei limiti e delle approssimazioni insite nelle diverse modellazioni ed essi, sempre in generale, utilizzano in modo attento e critico questi strumenti di analisi, che peraltro hanno visto importanti progressi proprio in questi ultimi anni.
Il dubbio, ripetutamente insinuato nella circolare, sulla “attendibilità dei risultati”, appare peraltro in contrasto con quanto la circolare stessa affermava nelle premesse, quando citava il “grande portato innovativo costituito dalla verifica dei meccanismi locali”. E non è anche questo tipo di analisi – usuale nella prassi professionale e basato su “modelli teorici formulati analiticamente” – un “calcolo strutturale”? Come si può dubitare adesso, in generale, della attendibilità dei risultati numerici?
Se fino a questo punto si possono rilevare, nel testo della circolare, problemi di generalizzazione e (ahinoi) di poca considerazione nei confronti degli ingegneri, con la frase successiva si entra nell’incomprensibile, laddove, pur di sostenere che gli edifici antichi possiedono riserve di resistenza generalmente non considerate nei calcoli, la circolare se ne esce con l’affermazione che ciò sarebbe stato dimostrato dai recenti terremoti:
“D’altra parte, alla luce dei recenti eventi sismici, è stata fatta ampia esperienza della discrasia tra il risultato dell’analisi e la sperimentazione operata dal sisma, dove il calcolo convenzionale fornisce in generale una stima assai più cautelativa dell’effettiva capacità sismica sperimentata”.
Impossibile comprendere a quale “discrasia” si riferisca questa frase, che sembrerebbe negare i disastri ed i lutti cui purtroppo abbiamo assistito anche negli ultimi eventi.
La “sperimentazione operata dal sisma”, per usare le parole della circolare, ha portato, solo negli ultimi anni, centinaia di morti, crolli di centinaia di chiese, palazzi ed edifici dell’edilizia tradizionale in Abruzzo ed Emilia che, evidentemente, avevano capacità sismiche reali ben diverse da quelle ipotizzate da chi crede che ci si possa affidare sempre e solamente alle tecniche tradizionali.
Tra l’altro, alcuni studi effettuati in Abruzzo prima del sisma del 2009 avevano messo in evidenza, proprio attraverso “calcoli convenzionali”, le problematiche strutturali di molte delle costruzioni che poi sono effettivamente crollate.
Il fatto che moltissimi edifici colpiti dal sisma abbiano resistito non cancella certo né le tragedie avvenute in molti altri casi, né le enormi perdite che hanno riguardato il patrimonio storico ed architettonico. Conferma invece quanto sia sbagliato generalizzare e negare a priori le problematiche strutturali che interessano una parte rilevante del costruito storico.
La circolare infine sentenzia (alzando anche qui la voce mediante il “grassetto”): “In definitiva, è bene ribadire l’autonomia del progetto dall’esito delle verifiche strutturali”. Come se le verifiche strutturali non facessero parte del progetto e non fossero fatte proprio dal progettista strutturale! È invece lui, e solo lui, che, nell’ambito delle sue responsabilità, può valutare l’attendibilità delle verifiche strutturali e delle elaborazioni fatte, ed operare di conseguenza le scelte progettuali più opportune per il caso in questione.
La Circolare sembra invece voler affermare, sempre e comunque, il primato della conservazione sulla sicurezza (ed evidentemente della cultura umanistica su quella tecnico-scientifica, in barba alle appena dichiarate buone intenzioni di integrazione delle diverse competenze!) ignorando deliberatamente sia la problematica della responsabilità penale e civile di chi firma i progetti, sia il fatto che l’occuparsi della sicurezza di questi manufatti è parte integrante e fondamentale della conservazione degli stessi (e di coloro che ti utilizzano).
E se non si fanno gli interventi quando invece sono necessari, su chi graveranno le responsabilità per le vittime e i danni del prossimo sisma? Ancora sempre e solo sul progettista (colpito e condizionato da quei pareri negativi) o interesseranno anche chi ha impedito, in nome della (malintesa) conservazione, proprio quegli interventi?
Questo primato della conservazione viene ribadito (caso mai ce ne fossimo dimenticati…) al successivo punto 4 – “Raccomandazioni pratiche ai progettisti del miglioramento antisismico”: “gli interventi sulle strutture … sono da valutarsi in un quadro generale di conservazione della costruzione”.
Quindi, caro progettista, fai pure i calcoli, ma il progetto (che peraltro firmi tu, assumendoti tutte le responsabilità del caso) è indipendente dai risultati che hai trovato, perché per noi (ndr: chi ha scritto la circolare) le analisi strutturali non sono poi così rilevanti!
E quali interventi si devono o non si devono fare? Ecco che qui la circolare fornisce le sue prescrizioni: “sono preferibilmente da evitare tecniche di intervento e metodologie innovative, nonché il ricorso a nuovi materiali, a meno che non sia attentamente valutata e accertata dal progettista l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati utilizzando tecniche tradizionali ...”
Quanto sopra è in contrasto sostanziale con quanto è scritto nella Direttiva, che, al punto 6.3, tra le indicazioni generali per la scelta degli interventi, cita numerose volte le tecniche ed i materiali innovativi.
Ma al di là del conflitto con quella norma che la circolare dichiarava di voler riassumere, proprio non si comprende un atteggiamento così oscurantista, apertamente ostile nei confronti dei “diversi” (gli interventi innovativi) che rinnega in un colpo solo tutti i contributi che l’innovazione, nei materiali e nelle tecniche, ha portato negli ultimi venti anni.
La circolare continua poi su questa linea, con la frase: “saranno generalmente da evitare ...”, cui segue una lista di tipologie di interventi da non fare.
Non è questo l’approccio ed il metodo seguito dalla Direttiva, che in modo equilibrato esamina e discute, tipologia per tipologia, le problematiche dei vari tipi di intervento, motivando, caso per caso, le indicazioni positive o negative, senza pregiudizi nei confronti degli interventi innovativi, citati esplicitamente, come detto, in molti casi.
La circolare redige invece una vera e propria “lista di proscrizione”, dimenticandosi che la complessità della materia in questione richiede ben altro che una suddivisione in “buoni” e “cattivi”. Tale approccio, peraltro, va nella direzione opposta rispetto alla sostanza e al carattere unitario di un corretto progetto strutturale-conservativo-architettonico-impiantistico, spingendo funzionari e tecnici verso una burocratica e deviante check-list del tipo "giusto-sbagliato", del tutto scollegata dallo specifico contesto.
Tra l’altro, tra i “cattivi” elencati esplicitamente dalla circolare finiscono anche i placcaggi estradossali di volte con materiali compositi, considerati qui, evidentemente (e diversamente rispetto alla Direttiva) alla stregua delle cappe in calcestruzzo armato!
Tra i “buoni” - tout court – sono invece inserite le iniezioni di miscele leganti, senza ricordare, come invece fa correttamente la Direttiva, anche i limiti di questa tecnica.
In ogni caso, clamorosa ed inaccettabile è la mortificazione che la circolare infligge in modo ingeneroso e debito a tutti coloro che, nell’Università, nelle professioni e nell’industria, si sono dedicati alla ricerca e alla sperimentazione, studiando e proponendo materiali e tecniche innovative per la conservazione di manufatti storici.
CONCLUSIONI
La circolare 18/2016, ben lontana da essere una “Guida breve all’uso” della Direttiva, sembra voler minare quel ponte che le Linee Guida del 2007 prima, e la Direttiva del 2011 poi, hanno costruito attraverso il dialogo e la positiva collaborazione tra conservatori e strutturisti, evitando lo squilibrio – che invece si avverte nella circolare - di chi pensa che la propria competenza sia l’unica che conta.
Laddove la Direttiva ha unito, la circolare divide, legiferando (sostituendosi impropriamente alla Direttiva) “contro” qualcosa e qualcuno: in particolare contro gli ingegneri che non stanno nella “tradizione” e che “pretendono” di usare i loro calcoli!
Nessuno nega l’ignoranza di chi nel passato ha fatto interventi scellerati, e forse questi interventi inadeguati vengono proposti talvolta ancora oggi, ma la Direttiva del 2011 fornisce già ai funzionari delle Soprintendenze tutti i riferimenti utili per affrontare questi casi, senza cadere nell’errore di liste di proscrizione e senza trattare da “infedele” il progettista che esce dalla “tradizione”.
Fornire regole del tipo “interventi buoni” e “interventi cattivi”, come fa la circolare, rappresenta un approccio del tutto inopportuno in una materia complessa come questa, in cui ogni situazione costituisce un caso particolare. La realtà è che non esistono ricette precostituite e solo la diagnosi, supportata, ove possibile, da valutazioni quantitative, può consentire di fare la scelta migliore.
Bisognerebbe poi aggiungere che nella stessa gravità di ignoranza (e di effetti negativi) di chi ha fatto, o fa ancor oggi, interventi invasivi impropri, ricade anche chi non comprende che il problema della sicurezza di una costruzione è parte fondamentale della sua conservazione ed impedisce, mediante pareri negativi, di fare gli interventi quando invece questi sono necessari.
Incide qui in modo sostanziale una insufficiente conoscenza delle reciproche problematiche, sia tra i professionisti che tra i funzionari delle Soprintendenze e, su questo, l’aggiornamento (partendo da una approfondita lettura della Direttiva) può fornire un valido contributo.
Il percorso ottimale sarebbe comunque quello di: - introdurre competenze strutturali dentro le Soprintendenze, in modo da dotarle delle risorse interne utili ad esaminare un progetto nella sua sostanza e non attraverso inappropriate check-list; - aggiornare funzionari e professionisti sugli argomenti di loro reciproca minore conoscenza; - dare una migliore definizione giuridica in tema di competenze e responsabilità, definendo meglio le responsabilità connesse sia con il “fare” che con il “non fare”.
D’altra parte, che avverranno altri terremoti distruttivi è purtroppo una certezza, più che una previsione, e l’unica arma che abbiamo a disposizione è quella della prevenzione.
E qui, davvero, c’è discrasia: prima del sisma non si trovano risorse per gli interventi di prevenzione, e anche quando si trovano questi, talvolta, sono fortemente limitati in nome della (travisata) conservazione; poi, dopo il sisma e dopo le distruzioni conseguenti, i soldi escono fuori, e se ne spendono molti di più di quelli che sarebbero stati sufficienti prima del sisma, e sul patrimonio architettonico rimasto si fanno interventi che non si limitano certo a qualche catena e un po’ di scuci e cuci …
Per quanto detto sin qui, appare più che auspicabile una’adeguata revisione del testo della circolare, o, meglio ancora, un pieno ritorno a quanto previsto dalla Direttiva.